![]() Sono andato all’anteprima dell’Amarone, si assaggiava l’annata 2018. E’ stata l’occasione per provare le nuove annate e scoprire l’evoluzione di quelle più vecchie. Vediamo come è andata. Si parte da Padova subito dopo pranzo, destinazione Palazzo della Gran Guardia di Verona che alle 16.30 spalancherà le sue porte per uno degli eventi più attesi dell’anno, la presentazione dell’annata 2018 dell’Amarone della Valpolicella. Meglio muoversi per tempo, il problema del parcheggio in centro a Verona potrebbe scombinare i piani…e infatti ci si ritrova in coda e si attende che si liberi un parcheggio, cosa che per fortuna avviene in tempo utile. Pochi passi e siamo davanti al magnifico Palazzo veronese in Piazza Brà, a poca distanza dalla bellissima Arena di Verona, che un romano di passaggio definì al telefono davanti a me “na spescie de Colosseo in migniatura”. Da mezzo romano comprendo la sfortuna di partire da riferimenti molto altri, ma questa è un’altra storia. Entro e dopo la svestizione al guardaroba finalmente si accede al piano superiore, dove in tre sale trovo le 64 cantine partecipanti. Ho tre ore a disposizione per cui un tempo sufficiente per assaggiare bene i prodotti di una dozzina di Aziende. Sono passati i tempi in cui cercavo di assaggiarli praticamente tutti…con risultati abbastanza disastrosi in termini di tenuta fisica e di comprensione. Non la pensano così la maggior parte dei presenti che saltano da un banco all’altro con un’allegria via via crescente. Ma io ho già la mia lista e cerco subito di orientarmi all’interno degli spazi, un gioco da ragazzi considerando che le cantine sono disposte in ordine alfabetico. LA DEGUSTAZIONE 2018 Per l’annata 2018 ho assaggiato le cantine Zymé, Valentina Cubi, Torre di Terzolan, Vigneti di Ettore, Cesari, Accordini Stefano, Ca La Bionda, Pasqua Vigneti e Cantine, Secondo Marco, Roccolo Grassi; Monte Zovo e Falezze. Diciamo subito che l’annata 2018 non è classificata tra quelle di eccellenza, valutata 3 stelle su 5. Il clima molto caldo e l’instabilità dell’estate hanno condizionato il prodotto finale e nel bicchiere troviamo un Amarone da una struttura meno importante del solito e, in alcuni casi, caratterizzati da un’acidità importante, per la verità in parte abbastanza prevedibile vista la gioventù del prodotto. Si assaggiano naturalmente vini non pronti, con un po’ di esperienza si riesce ad immaginarli nell’evoluzione. Il risultato in cantina ovviamente non è identico per tutti, volendo puntare su un paio di questi prodotti come scommessa per il futuro, probabilmente mi indirizzerei verso il Torre di Terzolan e il Falezze. LE ALTRE ANNATE Il gioco diventa divertente quando si passa all’altro vino portato dalla cantina, in qualche raro caso anche più di uno. In linea di massima servirebbe per intuire l’evoluzione del vino più giovane appena assaggiato, ma trattandosi di annate parecchio diverse, diventa una degustazione di un altro Amarone con diversa struttura e profumi. Dico subito senza mezzi termini che il vino che vorrei subito nella mia cantina è lo Zymé Amarone Classico della Valpolicella 2017. Al naso delle sensazioni subito magnifiche, con un sentore di una invitante marmellata di prugne, a cui si aggiungono poi profumi di marasche e spezie. L’assaggio è un’esperienza memorabile, al palato arriva subito una nota di marasca, liquirizia e cacao. Davvero un vino straordinario già così giovane, da prendere e mettere in cantina aspettando l’occasione giusta. Al secondo posto, l’Amarone di una cantina davvero piccola, ma che fa dei vini decisamente importanti: Falezze. Si trova nel comune di Ilasi, in piena DOC Valpolicella, ai lati delle vigne boschi e ulivi. Dopo aver visto le foto, mi è venuta voglia subito di andarli a trovare in quel piccolo Paradiso. Fanno non più di 15.000 bottiglie l’anno, produzione praticamente familiare. Davvero un lavoro di qualità. Ho avuto la fortuna di assaggiare il loro Amarone 2017 e anche qui si parla di un’esperienza memorabile. Al naso sentori di frutti di bosco, soprattutto mora, si alternano, alla prugna, alle marasche e al tabacco. Al palato il vino è caldo, avvolgente, troviamo ancora le more e le marasche e una deliziosa speziatura. Già prenotato un altro posto nella mia cantina personale per ospitarlo e aspettare che maturi. Meritano infine la menzione sicuramente l’Amarone Riserva 2016 di Stefano Accordini, L’Amarone Riserva 2013 Ravazzol di Ca La Bionda, l’Amarone 2015 di Roccolo Grassi. Meravigliosa Valpolicella.
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Il vino vegano considerato come una moda, acquista sempre più invece fette di mercato e grandi cantine stanno lavorando affinché possano riconvertire totalmente la propria produzione. Ma come, il vino non è sempre vegano? In realtà no. Dovete infatti sapere che per il processo di chiarificazione del vino, vengono utilizzati dei composti che molto spesso hanno origine animale. Avete presente l’albumina, la gelatina e la colla di pesce, la caseina? Si tratta di sostanze che catturano unendosi ad esse le impurità del vino, facendole depositare sul fondo. Sono utilizzati insomma come filtri. Quando il vino esclude tutte le sostanze derivanti dall’uccisione di animale, si definisce vegetariano. Quando l’intero processo non utilizza in alcun modo prodotti animali, il vino è vegano.
![]() Così come per la ricetta della pasta alla Carbonara, anche per la questione quale vino sia più corretto abbinarci, le teorie sono tante. Non voglio entrare in dispute relative alla ricetta classica, vi preannuncio che a me piace molto di più con il guanciale che verrà preso come ingrediente del mio abbinamento. Dicevo di varie possibilità di abbinamento, peraltro spesso corrette. Sicuramente non è sbagliato abbinarci una bollicina, ma sicuramente un Prosecco potrebbe essere un po' soppiantato dalla struttura del piatto, per cui opterei per un Metodo Classico, magari una Franciacorta. Altri ci abbinano un vino rosso, scelta che personalmente non mi convince fino in fondo. Parliamo comunque di vini non troppo tannici come ad esempio un Bardolino, ma a mio parere il sapore dell'uovo non si sposa perfettamente. Anche un Rosato potrebbe essere una scelta interessante, penso ad un Chiaretto che con il suo gusto "scarico" si abbina bene senza sovrastare. Ma l'abbinamento perfetto vino e Carbonara per me resta con bianchi di buona struttura e persistenza. Il mio preferito è con il Frascati Superiore di un'Azienda Biologica di nome De Sanctis. Ho trovato il loro Abelos perfettamente centrato sul piatto. Si tratta di un vino biologico per un 80% da vitigno di Malvasia Puntinata, la restante parte Bombino Bianco. Alla vista è di color giallo quasi dorato. Il naso regala sentori di frutta matura e vagamente erbacei, oltre ad un bel bouquet di fiori. Le viti crescono su terreno vulcanico che contribuisce a donare a questo vino un sapore intenso e ampio ed una buona struttura. Tutto ciò, ad un prezzo onesto. Nelle solite enoteche on line lo troverete tra 10 e 14 euro. Venuta voglia di una bella Carbonara vero?
![]() Non saprei dire se Giorgio VI prima del celebre discorso immortalato sapientemente da Tom Hooper nel film "Il discorso del Re" per farsi coraggio si sia fatto un goccetto; così fosse stato molto probabilmente avrebbe optato per quel vino elegante, dai profumi di frutta esotica, di menta e di salvia, dal carattere reale, che gli fu servito in occasione della sua incoronazione il 12 maggio 1937. Ebbene sì, come potete osservare nella foto che ritrae il menù che fu servito in quella importantissima circostanza, per quanto le pietanze fossero di ispirazione francese, si bevve italiano ed in particolare il Soave Bertani. ![]() E' questa uno dei vini più interessanti degustato in occasione della mia recente visita alla cantina di Bertani in quel di Grezzana, ovviamente in provincia di Verona. Soave Vintage Classico DOC 2017, un vino che ancora oggi ripropone lo stile tradizionale che negli anni 30 lo fece riconoscere, tra i primi in Italia, come "tipico e pregiato". 100% Garganega, è un vino che, azzardando un paragone che per i puristi sarà un'eresia, mi ha ricordato i migliori Chablis. Nel corso della visita ho avuto modo di entrare nel Caveau...un tempio, mi sono commosso alla vista di bottiglie del 1939, un prodotto che è sopravvissuto a quasi un secolo di storia. Degustati altri vini peculiari e molto buoni, ne parleremo... ![]() Quando ho voglia di autenticità, di cogliere l'essenza della città di Padova, mi reco sotto il Salone. Sono ben 56 le botteghe che popolano questo autentico tempio del gusto, collocato sotto il palazzo della Ragione. Devo cominciare a portarmi il carrellino, come le brave massaie, perché curiosando tra i negozi alla fine mi ingolosisco e mi ritrovo sempre carico di sacchetti. Chi c'è stato capisce perché... C'è il meglio che il territorio possa offrire e ciascuna bottega ha almeno un prodotto imperdibile ed unico. Ma parlare solo di un mercato coperto, se pur di eccellenza, è veramente riduttivo. A me piace l'atmosfera che si respira qui. Questo posto trasuda storia. Potrei passare ore a vedere la gente che passa di qui, vedere i gesti, ascoltare le voci, sentire i profumi. Mi piace immaginare come agli occhi delle generazioni che si sono susseguite, questo posto sia rimasto quasi immutato nel suo aspetto e sicuramente immutato nella sua filosofia. Non so se capita anche a voi di vedere che tutto intorno cambia, si svilisce, è sempre più finto. A me sì, e nonostante sia un amante delle tecnologie e del progresso, questo luogo fa parte di quel mondo vero e genuino in cui amo rifugiarmi. E voi? se siete a Padova un giro è d'obbligo! Se volete qualche dritta, sono a disposizione ;-) ![]() Fino a 10 anni fa in Veneto, poter fare una degustazione di vini intesa come momento didattico e di conoscenza era difficile per mancanza di offerta. Oggi fortunatamente le occasioni ci sono, più o meno imperdibili…diciamo che sapendo scegliere si fanno delle belle esperienze così come è accaduto a me presso la cantina Ca’Lustra di Cinto Euganeo (Padova). Il titolo “Noé beveva Garganega?”, simpaticamente lasciava presagire che la Garganega ne fosse protagonista, ma non sapete quanto lo sia stata! Alla fine se Noé bevesse Garganega o fosse astemio non lo sapremo mai, ma di Garganega, leggasi anche Grecanico e loro fantastici discendenti se n’è degustata tanta e se n’è discusso. Il traghettatore di questo nostro viaggio attraverso i secoli è stato il padrone di casa Franco Zanovello che con passione e sapienza ha proposto 13 etichette, degustate tutte alla cieca, così come piace a me, quindi senza condizionamenti. Da nord a sud Italia, senza aver tralasciato le radici in Armenia e Giorgia di questo generoso vitigno, il viaggio per me ha avuto due tappe fondamentali. Il mio palato ha sussultato sul Catarratto 2018, Valdibella, prodotto in Sicilia, precisamente in Alto Belice: Valdibella è una cooperativa di agricoltori di Camporeale che hanno deciso di valorizzare il loro territorio riducendo il più possibile le differenze rispetto all’ecosistema originale della loro terra. Il Catarratto Extra Lucido degustato è caratterizzato da profumi buonissimi, tra i quali prevalgono le note di frutta e macchia mediterranea, e da un gusto di notevole equilibro, sorretto da una interessante nota minerale ed una spalla acida che dovrebbero assicurarne una discreta longevità. Inutile dire che sono alla caccia di qualche bottiglia per deliziare gli amici. Ma importanti sensazioni mi sono state regalate anche dal Soave DOC “Roccolo del Durlo” 2017 di Le Battistelle: decisamente complesso, senza dubbio e inequivocabilmente vulcanico, nel senso più bello che possa avere per un vino. Poi, per provocarvi e stupirvi cercherò di comprare una Malvasia di Candia “Ageno” 2014 di La Stoppa, vino naturale emiliano di cui dovrò berne ancora per capire come abbinarlo. Non è un vino per tutti, secondo me da solo senza abbinamento, è veramente difficile da capire. Ma un’idea folle ce l’ho, la proverò e vi saprò dire. Tutte le altre bottiglie (tranne due) erano interessanti…quali sono le due? Non ve lo dico. Prossima degustazione venite con me? ![]() Gaja, emblema del vino in Italia e nelle Langhe, da qualche anno opera anche in quel di Bolgheri, terra nota per vini che hanno fatto la storia. Un territorio decisamente vocato per il vino di qualità, tra mare e colline, già culla delle più note espressioni dell’enologia a livello mondiale. Quando Angelo Gaja sognò di portare la sua filosofia da queste parti, non sapeva nulla di questo terroir. Ma, le più che note terre di Bolgheri, erano state studiate e mappate secondo morfologia, e ad ogni tipologia di terreno era stato assegnato un colore. Si recò in comune e notò che i terreni dove veniva prodotto il Sassicaia, il Fontalloro e altri mostri sacri mondiali, avevano il medesimo colore. Scorse un appezzamento di quel colore che non era vitato e scoprì che apparteneva a due fratelli ottantenni. Inizio una trattativa infinita che terminò solo dopo circa venti incontri, segnando il destino del nome della cantina che qui avrebbe trovato casa: Ca’ come casa, Marcanda da Marchande, a sottolineare il lungo mercanteggiare. Da allora il progetto Ca’Marcanda ha avuto uno sviluppo decisamente interessante e incessante. Perché Gaja è sì ormai la più riconoscibile griffe del vino italiano, tuttavia non deve le sue fortune ad abili azioni di marketing, ma al duro lavoro e la passione. Ad oggi, se pur azienda leader nel panorama enologico, per scelta non ha neanche un sito internet, preferendo ancora oggi la divulgazione attraverso l’esperienza diretta. La ricerca infatti è incessante e grande è l’attenzione che si pone allo studio dei cambiamenti climatici e allo studio dell’ecosistema che inevitabilmente sta mutando. Nuove minacce incombono in vigna e al fine di contrastare gli elementi di negatività come ad esempio insetti nocivi arrivati in loco per via dell’innalzamento delle temperature, si è scelto l’introduzione di antagonisti naturali sempre facendo attenzione a preservare l’equilibrio del biotipo. I vini sono indubbiamente non banali, in controtendenza rispetto ai gusti di tendenza. Dal 2015 è stato limitato l’uso del Merlot, troppo “piacione”, al fine di concentrare gli sforzi nel creare vini snelli ed incredibilmente eleganti, più aderenti allo stile Gaja. Il bianco Vistamare, da uve Vermentino, Viogner e una piccola percentuale di Fiano, si distingue per i profumi di agrumi e fiori, che quasi lasciano immaginare il mare in lontananza visto dalle colline. Tra i rossi, il Promis è il più pronto al consumo con un bouquet elegante speziato e balsamico. Segue il Magari: tanto giovane, quanto interessante e raffinato il 2016; entusiasmante e di grande stoffa il 2004, per la verità un vino completamente diverso in quanto ancora a base Merlot secondo la filosofia del passato. Eccezionale poi il Camarcanda, quasi un delitto bere oggi il 2016: ha la stoffa del grande vino con un tannino da svolgere, la bella acidità che ne assicurano la longevità e che non tolgono snellezza ed estrema eleganza a questo best seller italiano. Il Camarcanda 2010 è un vino da godere oggi ed esprime, ma non fa più notizia, quanto Gaja sia sinonimo di classe e capacità di distinguersi dai luoghi comuni. I prezzi non sono di quelli popolari, ma bere Gaja è pur sempre un’esperienza.
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AuthorGiovanni Marraffa Archives
Gennaio 2021
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